Una rete che sostiene durante la caduta: l’esperienza di Carmen

Una rete che sostiene durante la caduta: l’esperienza di Carmen

Carmen è una persona che gli operatori e le operatrici del progetto Safenet hanno intercettato durante il lavoro di rete con i vari enti territoriali e che sono riusciti ad aiutare in un momento di grossa difficoltà personale.

Carmen ha accettato di raccontarci la sua storia e di spiegarci come operatori e operatrici del progetto Safenet le sono state vicine, sostenendola in un percorso non semplice.

Buongiorno Carmen, hai voglia di raccontarci qualcosa di te?

C.: sono una donna di quasi 50 anni e ho una storia di più di 20 anni di dipendenza da sostanze, violenze domestiche e altre difficoltà. Grazie a un percorso di tre anni in una comunità terapeutica sono riuscita a superare i miei problemi di dipendenza, anche se ultimamente è riaffiorata quella da alcol. Sono anche una persona malata, HIV positiva, e ho diversi problemi di salute. Negli ultimi anni ho vissuto in provincia di Bergamo in un monolocale in affitto che ho dovuto abbandonare a febbraio scorso e ora mi trovo qua, a Casa Raphael.

Come hai incontrato il progetto Safenet? In che modo i suoi operatori ti hanno aiutata?

C.:  Nel corso dell’ultimo anno sono accaduti una serie di fatti personali dolorosi e mi sono isolata, chiudendomi in casa e non parlando più con nessuno. Il mio medico dello S.M.I. e la mia assistente sociale si sono allarmati e hanno contattato un operatore di Safenet, Paolo, per avere un confronto con lui. Insieme hanno provato a venire a casa e a telefonarmi ma io non ho mai risposto, fino a quando lo scorso febbraio ho ricevuto l’ordine esecutivo di sfratto e ho capito che se non mi facevo aiutare la situazione sarebbe diventata grave. Ho chiamato l’assistente sociale che ha organizzato un colloquio con Paolo. Il primo incontro l’abbiamo fatto insieme, non mi fidavo di incontrarlo da sola, ma ho quasi subito cambiato idea. Abbiamo ragionato su quali prospettive potessi avere, mi ha aiutato con il trasloco, tramite i servizi mi ha fatto accogliere dalla Casa Accoglienza Il Mantello 2, dove mi ha accompagnata. Ho incontrato anche Ilaria, sempre di Safenet, anche lei come Paolo mi accompagnava alle tante visite che dovevo fare per avere un quadro aggiornato sulla mia salute. Insieme ai servizi ho individuato Casa Raphael come il posto adatto per vivere avendo un’adeguata assistenza sanitaria. Adesso sono qui e parlo, prima non parlavo più.

Ti sei sentita accolta e aiutata dagli operatori di Safenet?

C: Ho sempre avuto problemi con la figura maschile, quindi quando mi è stato detto che l’operatore era un uomo ero molto prevenuta. Quando ho incontrato Paolo, che fa parte di Safenet per conto della Fondazione Opera Bonomelli, invece mi sono resa conto subito che era una persona di cui mi potevo fidare. Mi sono sentita capita, senza essere giudicata: mi ascolta, è molto professionale, sa dove andare, come muoversi e a chi rapportarsi per trovare risposte alle diverse esigenze. Abbiamo iniziato a conoscerci man mano che mi aiutava, piano, piano. Senza giudizio, questo mi ha permesso di fidarmi.

Poi ho conosciuto Ilaria, mi sono trovata bene anche con lei, mi hanno raccontato quello che fanno con il progetto Safenet, si occupano di cose importanti: dal camper per strada, ai test per l’Hiv, alla prevenzione nelle scuole, erano tutte cose che non conoscevo. Ho scoperto quali sono i servizi di supporto per chi ha bisogno. Mi sento aiutata, sostenuta, da tutti i punti di vista. Mi sento intorno una rete di sicurezza. Sapere che loro ci sono mi fa sentire sicura anche all’idea di poter avere dei momenti di difficoltà in futuro.

Un esempio concreto è l’accompagnamento alle visite e agli esami: quando non mi sento ascoltata o mi sento giudicata poi non torno più. In ospedale ho avuto esperienza negative. Paolo e Ilaria mi hanno accompagnato a fare le visite, parlando con i medici e tenendo i contatti, questo mi ha permesso di proseguire le terapie.

Come ti trovi a Casa Raphael?

C.: Sono rimasta colpita da questo luogo dalla prima volta che l’ho visto. Mi trovo bene, non è una comunità terapeutica, è una casa di accoglienza, una casa famiglia. Un posto dove le persone possono vivere aiutate e supportate in tutti quegli aspetti che la malattia ha reso difficili.

Siamo un po’ una famiglia. Pranziamo nella sala da pranzo con 3 tavolini rotondi e mangiamo tutti insieme anche con il presidente, il don, le operatrici. Abbiamo una cucina che sembra un po’ di stare a casa, un salottino, tv, gli spazi esterni. Abbiamo anche qualche volontario. Tante piccole cose che fanno famiglia.

Viviamo in 12, sono 6 camere doppie con il bagno in camera. Io sono fortunata perché ho la camera più bella, più areata. Ho un gruppetto con cui sto di più, giochiamo a carte, ogni tanto facciamo qualche uscita, guardiamo la tv, riceviamo le visite.

Qui puoi stare quanto vuoi, c’è chi vive qui da 10 anni per esempio. In base alle mie condizioni di salute capirò cosa potrò fare, ma mi sento tranquilla sapendo che posso prendermi il mio tempo per capire cosa sarà.

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